Silences, gazes, small gestures, an hinted smile or a frown.
A step forward or backward, head rising or lowering, arms crossed or gently accompaining the body. Forehead relaxed, shy eyes, laughing eyes, confident eyes, enchanted eyes Gazes again Brilliant eyes, watery black eyes Gazes again And then, the spaces between movements, between a smile and the new one. Shapes and silences filling up the time. A dance some way. No need for syntax, translations, interpretations, dictionaries. No need for names, categories, formatted messages No need for a common language built on grammars and words. No need for that We had a much better one. The will to know each other A distanza di anni, il materiale raccolto in Tanzanie e Ruanda è in qualche maniera "maturato", si è "allargato" e distaccato dalla specificità dell'approccio iniziale ed è diventato non più un reportage nel senso classico del termine, quanto una sorta di "visione" personale, parziale, positiva di un luogo che non esiste realmente ma potrebbe esserlo, e potrebbe essere un luogo di grazia, di equilibrio in cui gli sguardi dei visitatori si incontrano, incrociano, interagiscono con quelli degli abitanti.
Il nome GraceLand, vorrebbe rimarcare ancor di più quell'idealità di luogo, quella sorta di sogno di esistenze e vite non piegate dalle contingenze crudeli e difficili di tante parti dell'Africa. Vuole essere, GraceLand, una vista diversa su una parte di quel mondo che conosciamo solo in maniera negativa per il tramite dei media nel momento in cui si consumano drammi e sofferenze. Non è quindi un reportage, non ha la pretesa e non vuole presentare in maniera neutra una condizione, una situazione od evento. Piuttosto è una personale, "complice", sentita, certamente amata, esperienza personale fatta di sensazioni, conoscenza della storia dei luoghi, prospettive ed attese sperate per quegli stessi luoghi e popolazioni. Proprio per questo la fotografia ha ceduto in qualche modo il passo alla pittura, ne ha chiesto la presenza, i tratti, le tecniche e le modalità creative. Così come la fotografia mantiene comunque un contatto ancora diretto con le fattezze di luoghi e persone, la pittura ne rappresenta invece una sorta di elemento "altro", in qualche modo complementare, con il quale incontrarsi e confrontarsi in una sorta di continuo rimando tra realtà, ricordo, invenzione. I personaggi che si incontrano nel percorrere le strade di terra rossa del nostro villaggio immaginario (non più Tanzania, non più Ruanda) sono tanto veri quanto quelli creati dalla pittrice che ha "esplorato" i volti, l’anima, le storie di ciascuno di questi uomini, donne, bambini rappresentati nelle foto, e ne ha creato un nuovo habitat fatto di variazioni delle situazioni, di completamento dei gesti, delle azioni, delle espressioni. Ha allargato la prospettiva del villaggio, lo ha popolato di personaggi nati dai primi e che ora con essi convivono. E quindi fotografia e pittura a creare un percorso unico nel quale il visitatore è trasportato e coinvolto, nel quale diventa egli stesso parte attiva ed essenziale con il gioco di sguardi e le domande che si porrà nel dialogo silenzioso con ciascuno dei protagonisti di questo viaggio. ![]() Tanzania e Ruanda come oggetti di esperienze dirette, quasi un reportage seppure in forma incompleta. Vicende, sensazioni storie concrete con nomi e volti, indirizzi, luoghi, colori, sapori. Geografia umana in qualche modo, ad unirsi univocamente alla geografia di quei paesi. A distanza di molti mesi, anni nel caso della Tanzania, quegli stessi elementi così certi ed univoci, quell'insieme di dettagli ad ognuno di essi associati, hanno perso lo spessore e certezza del momento. Smussati, levigati, sbiaditi dal tempo ed insieme arricchiti di sapore e fascino da quei percorsi particolari ed inconoscibili in bilico tra la memoria, l'intelletto e le pieghe della mente, si sono ora allargati a comprendere spazi prima loro privati e forse neppure ipotizzati. Sono diventati, quei volti, quei colori quella sequenza di impressioni, sensazioni, tentativi di capire o anche solo entrare in un mondo così diverso, un ulteriore "luogo" allargato, virtuale, quasi rarefatto dove si mescolano, vivono, coesistono ed interagiscono frammenti di realtà e faglie di ricordi, emozioni, visioni personali. Non più Tanzania, non più Ruanda o altro, quindi. Un singolo villaggio allora, un luogo ancora senza nome, uomini e bambini donne e figli, famiglie, che non hanno bisogno di informazioni anagrafiche per popolare questo nuovo livello in cui il viaggiatore si trova ad immergersi. Le strade di questo villaggio, appena accennate e polverose, si aprono e dispiegano: invitano ad essere attraversate ma senza fretta. Invitano ad intraprendere un viaggio ma chiedono anche di fermarsi e guardarsi intorno lasciando per un attimo la presunzione della conoscenza e le certezze del quotidiano. Nascondono e svelano. Mostrano ed invitano. Fotografia e pittura, insieme. E loro, gli abitanti a seguire con i loro occhi gli occhi di chi queste strade vorrà percorrere. Sguardi curiosi, incerti, timorosi, amichevoli, ostili, pensierosi. Ciascuno a guadare ed osservare l'altro. Ciascuno a farsi domande e cercare in qualche modo risposte. Non parole, non servono. Non frasi, non discorsi, non ufficialità. La sola, discreta, timida, imprecisa sensazione di conoscenza veicolata dalle espressioni degli occhi, dagli sguardi, dai gesti. Modulata dai sorrisi e dai silenzi, dagli sguardi a volte bassi a volte decisi e forti. Potresti scoprirti ad amarlo, questo luogo. |
AuthorA general blog, but still personal. The name as a tribute (my tiny, personal one) to the Crimson King. No specific matter, no specific path or target to be followed or reached. A space where to collect events, ideas, perspectives coming from the world around, but still under my own control. Archives
October 2017
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