“Da bambino sognavo di volare” Sono convinto che alcune foto, quelle cui teniamo di più, che più sentiamo appartenerci, non vengono costruite nè nascono per caso. Semplicemente esistono, da sempre, nella nostra mente, fanno in qualche modo parte di noi. Sono lì, senza tempo. Galleggiano in quella dimensione incerta ed imprecisa che è la nostra anima, le sue tensioni e sfumature, le sue pieghe. Ciascuno ha le sue, di immagini. Una parte della propria persona in formato visivo che aspetta solo l’evento che permetterà di trasferire su un diverso piano le sensazioni immateriali che la compongono. Sono lì queste immagini, ed aspettano semplicemente di uscire alla luce del sole richiamate da qualcuno o qualcosa. Ho incontrato questa mia immagine qualche anno fa, in maniera del tutto casuale e inattesa. Ed è stato amore a prima vista. Ci siamo riconosciuti subito, semplicemente. Ho soltanto alzato la mia reflex e scattato un paio di volte. Poi mi son messo ad osservare di nuovo la scena. La stazione di Zurigo era affollata come sempre e il brusio dell’umanità era un sottofondo piacevole in una giornata di tiepido sole. Non la notai subito questa immagine speciale. Passarono diversi minuti, presi un caffè, curiosai tra i giornali, osservai la gente fuggire veloce lungo i marciapiedi. Seguirre gli sguardi dei tanti che ti scorrono davanti, voltarsi incuriosito da un gioco di luce o un rumore. Un’annuncio cui prestare attenzione. Solite cose di sempre. Poi casualmente alzai gli occhi verso l’alto. E lei era lì. “Disincanto” pensai subito. Non delusione ma disillusione. era lì, di fronte a me forse velata agli altri ma evidentissima a me. Il cielo grigio a causa dei vetri era la cornice di una storia particolare. Il reticolo delle strutture era insieme geometria, supporto fisico e gabbia. Prigione, limite, costrizione. Un uccello di plastica sembrava voler accennare al volo, e quindi alla possibilità di librarsi liberi nell’aria, ma erano evidenti le corde che lo tenevano imbrigliato. E anche il presunto volo si capiva subito essere dalla parte sbagliata della scena. Il cielo era fuori, oltre il vetro. E c’era poi l’uomo, in basso, lui stesso imbrigliato per questioni di sicurezza. Una situazione che avvertivo “densa” di simboli, ciascuno dei quali, nel caso specifico, si coniugava agli altri rafforzandone il senso. Il sogno del volare, il sogno del cielo come spazio e libertà era solo apparenza. Il cielo era dietro il vetro, irraggiungibile, negato. E il vetro è sporco come lo è la realtà, quando le illusioni del bambino hanno lasciato il posto alla consapevolezza dell’adulto. E vedevo quell’uomo una volta bambino, con sogni ed entusiasmi, con illuioni e gioie. Lo vedevo mentre a volte guardava quello stesso cielo, allora azzurro, e sognava. Lo percorreva con la fantasia in ogni direzione, senza limiti. Adesso è invece adulto, ed è appeso ed imbrigliato per questioni di sicurezza appena sotto quel cielo non certo limpido, ne tanto meno raggiungibile. La fatica di pulire un vetro in un giorno come tanti, guardando il cielo senza poter più volare. Il disincanto, quindi. I sogni infranti. La vita reale. Comments are closed.
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AuthorA general blog, but still personal. The name as a tribute (my tiny, personal one) to the Crimson King. No specific matter, no specific path or target to be followed or reached. A space where to collect events, ideas, perspectives coming from the world around, but still under my own control. Archives
February 2020
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