"Un silenzio abitato" è un ulteriore lavoro di Enrico Milanesi dedicato alla clausura in Umbria. Questa volta l'esperienza è stata fatta presso l'eremo di Monte Corona ad Umbertide: per vari giorni (e dopo una lunga preparazione fatta di colloqui preliminari, studio della storia dell'eremo, e così via) Enrico ha vissuto e condiviso la vita dei monaci del monastero, partecipando con discrezione e attenzione ad ognuna delle attività che caratterizzano la vita dell'eremo. Di seguito il testo introduttivo alla mostra che ne è seguita. (Tutte le foto sono di proprietà di Enrico Milanesi che ne ha gentilmente concesso l'uso per questo post) Monti dal profilo dolce e smussato si affacciano sulla valle. Colori acquerello la terra. Leggera foschia, lontano, all'orizzonte. Confine di cielo e terra, verde e blue, materia e spirito. Il vento si insinua tra i rami degli alberi, percorre la valle e sale leggero sui crinali delle colline che pian piano si irrigidiscono e diventano monti. Porta ricordi e storie quel vento, sa narrare a chi sa ascoltare, a chi sa guardare oltre la superficie. Una strada bianca, dalla collina ai monti. Puoi fermarti un attimo, senza motivo, lungo quella strada. Il brivido di avvertire il tempo fermarsi, ed il mondo con lui. Quasi si entrasse in una dimensione differente, raramente percepita eppure ora presente. Difficile, forse impossibile definirla. E' insieme leggerezza e profondità, armonia e desiderio, energia mista a controllata euforia. Guardarsi intorno di nuovo. Il bosco di castagni. Spazi di verde e silenzio. Spazi di eterea calma ed equilibrio di forme ed essenze. Il vento di nuovo, la strada a salire, la cima ancora nascosta dagli alberi. Tratti di cielo, scorci di valle, all'improvviso, imprevisti agli occhi e alla mente. Striscia d'argento persa tra le colture giù in basso, il Tevere. I passi sulla ghiaia, un fremito d'ali, un muovere di rami. Tratti di vita, suoni minimi, frammenti di mondo, tracce di una vita più grande e vasta. Lo sguardo ad abbracciare l'infinito. Un silenzio abitato. Mura bianche a definire il perimetro della stanza. Colori chiari, in questa cella. Timbri leggeri ed aperti per un'architettura dove la semplicità e frugalità delle forme e spazi si trasformano in austera bellezza. Niente di non strettamente necessario. Niente di più di quanto non serva per vivere, pregare, amare Dio. L'intero mondo compresso in una cella di pochi metri quadrati eppure apparentemente senza limiti reali. Quelle pareti, quelle pareti bianche non sono e non sembrano confini, non chiudono e non bloccano se non le intemperie. Di nuovo la sensazione di una dimensione differente. Di uno spazio immenso, di una freschezza ed ariosità che può essere solo spirituale. Spazi di vita e preghiera. Spazi di bianco e di silenzio. Un silenzio abitato. Materia e spirito, se volessimo trovare un nesso, un simbolismo in tutto questo. Quella strada bianca ci ha guidato da un mondo ad un altro, quel percorso ci ha permesso di scivolare da una condizione esterna, allargata, fisica ad un'altra interiore, concentrata, eterea, spirituale. Il mondo appena fuori, la valle, le colline, il bosco, la strada. E alla fine l'eremo. Solitario, austero, isolato. Una sorta di rocca da cui guardare il creato guardando dentro se stessi. I monaci a vivere e testimoniare una clausura che non è fatta di fisica costrizione entro mura e pareti, quanto piuttosto di colloquio solitario con la propria anima. Di preghiera e lavoro, di condivisione dei gesti minimi della giornata quali i vespri, il pranzo e la cena, la preghiera di nuovo. La cella di ognuno dei monaci, universo nell'universo, anima del convento punto d'incontro di ciascuno con Dio. Un silenzio abitato. Ogni domenica le porte del convento si aprono e i monaci percorrono in gruppo quei sentieri nel bosco, ne vivono i colori e le sfumature, i toni e le sensazioni. Momento di comunità, momento di reciproco rispetto e rinnovata scoperta di come anche questo peregrinare ed ammirare la bellezza del creato sia esso stesso una preghiera dovuta, e ricca di gioia. Ed ogni volta la passeggiata si chiude con il rientro nell'eremo. Percorse le strade e i sentieri del mondo esterno, il rientrare è un pò di nuovo il simbolo della scelta che ciascuno di loro ha fatto. Una vita di preghiera, libera dalle contingenze e artificiali precarietà del quotidiano per dedicarsi all'aspetto spirituale e religioso. Un silenzio abitato, questo nuovo lavoro di Enrico Milanesi, affonda le sue radici nella storia del misticismo e spiritualità che tanta parte ha avuto, e tutt'ora ha, nella vita dell'alta valle del Tevere. Nel corso degli anni , questo suo interesse di documentazione e ricerca ha toccato vari luoghi e realtà di pirmaria importanza nel territorio, basti pensare al monastero di S. Veronica Giuliani solo per citare un esempio. Siamo quindi di fronte non ad un singolo lavoro, quanto piuttosto ad un percorso narrativo ed insieme di documentazione, durato anni e distribuito in alcuni dei luoghi principali della Val Tiberina, che vuol dare il giusto rilievo ad un aspetto molto poco noto agli stessi abitanti della valle. Questo lavoro può quindi essere visto tanto singolarmente quanto in funzione delle precedenti opere. L'aspetto documentaristico è l'elemento di base di ognuno dei progetti di Milanesi e permette di "vivere" quasi in diretta i momenti principali delle giornate dei monaci o comunque dei protagonisti. Il fotografo è defilato, in disparte, non cambia e non turba le atmosfere i momenti, le azioni. Vuole solo essere il tramite tra la vicenda e lo spettatore. Eppure man mano che si va avanti, si può notare come a tutto questo si aggiunga una sottile, educata, rispettosa partecipazione alla situazione, alle atmosfere, al luogo. L'aspetto documentaristico si addolcisce accogliendo in sè un positivo coinvolgimento del fotografo che matura gradualmente, lentamente, nel corso dei vari lavori. Milanesi definisce il ruolo e la storia, e lo fa con l'approccio del documento che è il motivo del progetto. Ma integra tutto questo con l'aspetto di chi, pur essendo al di fuori dell'esperienza spirituale e mistica che cerca di narrare, ne è altresi affascinato e attratto, ne riconosce il valore e lo spessore. Senza effettismi, senza forzature, le inquadrature scelte, il soffermarsi su particolari o allargarsi a comprendere un'intera scena di comunità, definisco il ritmo, il passo di una narrazione che non è più solo documento ma anche in qualche modo esperienza personale. Ed allora questo silenzio abitato assume una valenza ulteriore e particolare. Punto culminante del percorso inziato anni fa, si definisce non come una conclusione, ma come un percorso aperto, di conoscenza e di spiritualità, di esperienza umana ed insieme religiosa.
Abbiamo visto il visibile e percepito ciò che solo il cuore può avvertire. Abbiamo attraversato la porta dell'eremo e varcato le soglie di quelle celle e sale in cui si dispiega giorno per giorno la vita e la preghiera dei monaci. Abbiamo imparato a conoscere aspetti di convivenza e relazione della comunità stessa e di questa con il mondo esterno. Abbiamo capito come la clausura non sia tanto una rinuncia alla vita, quanto una diversa prospettiva della stessa. Una forma di ricchezza e di ritorno all'essenziale e al vero, un ulteriore modo di contribuire al benessere spirituale non solo dei monaci, ma dell'intera comunità di cui essi fanno parte. Esiste una prospettiva diversa attraverso cui vedere il mondo, questo ci dice Enrico Milanesi per il tramite della comunità di monaci dell'eremo di Monte Corona. Esiste un modo differente e a pochi veramente conosciuto di impiegare la vita. Esiste una finestra normalmente chiusa che invece darà una luce inattesa una volta aperta. "Un silenzio abitato" è allora non solo un documento ma anche e soprattutto un invito ad andare oltre, ad approfondire quello stesso mondo che Enrico Milanesi ha avuto il privilegio di seguire e narrare. Comments are closed.
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October 2019
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