Turning back to the essence.
Natural elements to plunge into. Melting and mudding with them. No more separations, differences, borders. Water to soak, rub, soften, dissolve. Ground to cover, mud, break, dissolve. Sand, wind, snow, ice. Time to rule them all. The world around. Transformations for a new life to be. As small separate worlds, almost living a life apart, almost ruled by different rules.
They stand still, merging with those confident places we pretend to know so well. Fragile bubbles of ephemeral sensations, they last just for a while. An timeless blink of an eye. And as soon as they vanish, others come to life. Sbiadite dal sole le eccentriche pretese di un’estate perduta.
Tra i solchi della terra, vene ormai secche, cicatrici ben plasmate, aliti di aria bollente si allontanano fluttuando lente verso cielo. Ruvida polvere di cruda estate, inesorabile, splendente quasi fosse oro, a bilanciare la scivolosa e beffarda leggerezza di tentativi di nuvole. La strada appena oltre pullula di umani embedded in ottimizzate auto con verdi pretese. Kilowattora di di energia ben controllata scorre fluida sulla distanza che separa la forza dall’intenzione. Lo sguardo si fissa a tratti su attimi di forme improvvisamente create. Si dilatano veloci, acquistano spessore e significato e subito si sfaldano tornando nella zona grigia del mondo dal quale sono uscite. CAN-BUS veglia su questo tratto di mondo in metallo ep plastica, su quest’anima mutevole irrigidita dal tempo e protetta da sistemi di stabilizzazione. {Tra il lascito leggero delle nuvole in un cielo caldo e plastica fusa} Improvvisa come l’inverno, necessaria come la rugiada, silenziosa come il letto di un fiume in secca che lascia alle sue sponde scolpite dall’acqua i ricordi e le storie raccolte nel suo corso.
Leggera sensazione di vertigine in bilico nel vuoto di un nuovo giorno cui mancano parole da sussurrare. Il Mare d’Irlanda era di fronte a me, grigio ed inquieto.
Lame di luce sembravano precipitare dal cielo e rimbalzare sulla sua superficie agitata e nervosa. Le onde si rincorrevano, incrociavano, fondevano, urtavano ed univano senza una direzione apparente, salvo poi concentrarsi in un singolo fronte che prendeva via via più forza, diventava più grande ed irruento fino ad infrangersi sulle rocce appena all’ingresso della baia. Gli spruzzi salivano alti verso il cielo, veloci ed imprevedibili. Per un attimo sembravano congelati nell’aria, bianchi, minuscoli, stagliati contro il cielo poi, quasi all’improvviso, precipitavano su stessi a ricongiungersi al mare con un fragore sordo e ripetitivo. La forza di quella immagine, del rumore delle onde e della vastità del mare, contrastava con la calma e la solitudine della spiaggia deserta. Piccole pozze irregolari erano la sola traccia rimasta della marea, la stessa marea che tra poco sarebbe tornata a coprire le pozze stesse ricongiungendo l’acqua in esse rimasta al suo padrone e signore: il mare. Il cielo si rispecchiava, incerto e distorto, in queste superfici lisce che pian piano venivano svuotate da piccoli rigagnoli che si perdevano incerti verso la battigia, si fermavano bloccati da un’improvviso grumo di sabbia o, al contrario si univano e miscelavano come un fiume ad altri filamenti di liquido. Questi rivoli, trasparenti e pulsanti quasi fossero vivi, quasi fossero arterie, si andavano alla fine a confondere con quelle onde che, persa ormai la forza iniziale, semplicemente carezzavano la sabbia fredda. Un vento leggero accompagnava il volo dei gabbiani. Lunghe ed eleganti traiettorie percorse lentamente prima di planare verso terra, prima di posarsi al suolo. Rimanevano immobili per un attimo, prendevano a camminare a scatti lasciando quelle inconfondibili, leggere tracce sulla sabbia, poi si fermavano di nuovo. Ancora qualche minuto di questo gioco e all’improvviso spiccavano il volo allontanandosi veloci nel cielo grigio e carico di nuvole. La vecchia signora, forse 70 anni, capelli grigi legati modestamente dietro la nuca, con una lunga gonna scura camminava lentamente sulla spiaggia, verso il mare. Le mani dietro la schiena, lo sguardo perso sull’orizzonte o forse su quella linea che segna il confine tra cielo e mare. Quella linea indefinibile che segna il confine tra l’uomo e i suoi sogni riflessi in un tramonto sul mare. Si fermò sulla battigia, vicino ad una roccia, l’ultima prima che la spiaggia lasciasse spazio al mare. Immobile, le mani ancora dietro la schiena, tranquilla. Continuò a fissare le onde, ad ascoltarne la voce, ad assaporare il vento sul viso. La luce stava lentamente scendendo, il sole iniziava il suo viaggio a ritroso verso la terra e verso la notte, iniziava a nascondersi dietro la scogliera timoroso dello sguardo della luna che di lì a poco si sarebbe presentata a reclamare i suoi diritti. Di tanto in tanto un gabbiano si librava nell’aria, come appeso, per poi improvvisamente cambiare direzione e scomparire veloce verso il mare. In lontananza una nave apparentemente immobile sembrava essa stessa una parte del mare e della scena. Aria di tempesta. Pioggia e temporale in alto mare, appena alla sua sinistra. Si poteva vedere benissimo il denso strato di nuvole, scuro e lentigginoso, sgranato dalla distanza e impregnato di pioggia che si sarebbe riversata violenta su quel tratto di mare. Un’altra dimensione comunque. La spiaggia viveva la sua dimensione irreale, calma e pacata come se tutto il resto fosse solo un palcoscenico sul quale si dava uno spettacolo come tanti. Come se la vita fosse altra cosa appena lasciata la spiaggia verso quella distanza così indefinibile. Questo colpiva più di tutto. Quanto lontano era questa diversa situazione di vita? Quanto distanti erano quella nave e quella tempesta? Un chilometro, due, dieci? Nulla che potesse dare un suggerimento, un aiuto. La donna fissava il mare, persa nei suoi pensieri e ricordi. Non so dire quale espressione avesse il suo viso, se i suoi occhi vedessero ciò che anch’io vedevo o non piuttosto quello che la sua mente, e il suo cuore soprattutto, volevano vedere. Non so dire ora se solo per caso si fosse fermata incuriosita da qualcosa che a me era invece sfuggito, o se piuttosto, come mi piace pensare, fosse quello il suo modo di salutare ogni giorno quella parte di se stessa che vedeva riflessa nel mare. La fissavo da lontano, scattando qualche foto di tanto in tanto. C’era qualcosa che la rendeva una parte essenziale in quella atmosfera, qualcosa che la faceva essere ai miei occhi la vera controparte del mare, il suo alter-ego. Ciascuno all’altro legato ed unito da quelle relazioni indefinibili ma fortissime che non riesci a descrivere ma sai essere presenti. E reali, tanto quanto lo è il tuo respirare e camminare su questa spiaggia. Mare. Onde ad infrangersi sulle rocce. Una donna. Sola di fronte al mare. Una ragazza alla mia sinistra, qualche metro avanti a me. Anche lei a vagare in quella spiaggia solitaria. Cielo ormai scuro, nuvole. Il silenzio comincia ad essere un tutt’uno con l’imbrunire, il brusio del mare solo rumore nell’aria. Per un istante è tutto improvvisamente congelato in una scena senza tempo e dimensione. La donna si volta ora lentamente e si avvia verso di lei. Un ultimo sguardo verso il mare, le mani ancora dietro la schiena. Le onde continuano a spezzarsi in mille spruzzi sulle rocce intorno, il sole è ormai nascosto dalla scogliera. Lame di luce, psichedelici giochi di colori tendenti al rosso rimangono come sola traccia di questa stella che anche oggi ha deciso di congedarsi. La ragazza si incammina verso il mare. La seguo con lo sguardo, la silouhette a stagliarsi contro l’orizzonte mentre si avvicina all’acqua, mentre l’anziana donna si muove verso di lei lasciando a noi quel posto speciale che un istante prima era suo. Vedevo entrambe muoversi lentamente l’una verso l’altra, nel silenzio di un crepuscolo non ancora maturo, ciascuna dell’altra ignara eppure ciascuna in qualche modo all’altra simile. Ed il mare era l’elemento comune, il centro di gravità verso il quale entrambe tendevano, l’elemento che attirava e insieme respingeva con la forza magnetica della sua bellezza, a tratti quasi crudele. L’una specchio dell’altra nel tempo così come nello spazio, condividevano l’amore e l’attrazione per il mare e la sua dimensione sconosciuta e inquietante. La ragazza avrebbe tra pochi istanti preso il posto della donna, ed avrebbe visto e sognato lei stessa in quello specchio vivente ed inquieto che tanto assomiglia alla nostra anima. Avrebbe visto e sognato il proprio sogno, riflesso e confidato come un segreto allo stesso mare cui appena prima la donna si era rivolta. Il mare sa tutto, questo è certo. Ed è un amico fidato e sincero. Sa ascoltare, sa capire, e sa mantenere i segreti. E sa parlarti al cuore. Quando furono vicine vicini l’anziana donna si voltò appena verso la ragazza, e sorrise. |
AuthorStories and novels, stories and shades of words. Sapphire can be a voice, a whisper, a night talk. Colours in words, words merged and melted with pictures. Words as colours, words as shapes sometimes overlapping with the visual experience. A different way to see the world or, maybe, just the very same way using different tools and finding different paths. Archives
December 2021
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