In the wake of sapphire
  • Home
  • The Blogs
    • The sapphire blog
    • The crimson blog
    • The emerald blog
    • Wordpress space
  • Stories
    • TanzanEyes
    • The Masai girl
    • Rwanda
    • 3 Years later
    • India
  • Patterns of life
    • Schwetzingen
    • Silver in the morning
    • The other city
    • HumanNotHuman
    • Fading out
    • Those foggy days
    • StreetNoise
    • As the night gently talks
    • Assisi in Black and White
    • Praising the absence
    • Caesura
    • Convolution
    • Linee e forme
    • Be like water
    • Impulses
  • People
    • Juliet
    • Street portraits
  • About

The gate of Eden

12/9/2012

 
Picture
Una sbarra rossa con strisce bianche all’ingresso, quattro poliziotti con manganello e la divisa di una delle tante compagnie per la sicurezza. Il taxi rosso scuro si avvicina lentamente sobbalzando sugli speed-breaker che interrompono la strada, ed ho tutto il tempo di osservare quel pezzo di mondo.
Gli agenti della sicurezza sono molto giovani, anche se è difficile definirne l’età, magri ed agili ma non certo alti. Seppure in divisa non hanno un vero e proprio aspetto marziale. Hanno si la faccia dura, il volto chiuso di chi è abituato a gestire situazioni difficili, ma c’è comunque qualcosa che li rende imperfetti come militari. Un accenno di indiana indolenza e apatia che contrasta con il ruolo che dovrebbero svolgere e l’’atteggiamento dovrebbero avere. Non per questo credo siano meno duri e violenti, anzi.
Il muro di cinta di mattoni scuri percorre l’intero perimetro di questo blocco di palazzi.  Il check point con la sbarra rossa e i poliziotti come unico punto di accesso. All'’interno del muro, palazzine di una decina di piani, costruite come nel peggiore dei gusti europei: appartamenti piccoli, con piccole finestre e minuscoli balconi incassati nella struttura dei palazzi e coperti da panni stesi ad asciugare.
Il taxi si avvicina a passo d’uomo, il finestrino a narrare la storia di questo mondo o meglio di questi mondi che dividono lo stesso spazio.

Se potessi chiudere per un attimo la sola parte destra del finestri, quello che avrei di fronte a me sarebbe l’immagine di un quartiere di periferia di una qualche metropoli in un qualsiasi paese in via di sviluppo.
Architetture di emergenza a testimoniare una mutazione e un tentativo di industrializzazione. Gente non più povera ma ancora non certa delle sue condizioni, tuttora nel limbo del dover costantemente curare il mantenimento di questa posizione.
Nessuna debolezza è concessa. Anteprima di una prossima classe media ancora tutta da definire e inventare, tentativo
indiano di uno sviluppo già avviato e che si espanderà a macchia d’olio negli anni a venire.

Bene.

Chiudi ora la parte sinistra di quello stesso finestrino e guarda di nuovo fuori.
Avrai il rovescio della medaglia, il calderone bollente degli incubi della notte, il girone infernale della condanna senza appello. Appena fuori dal muro, una sequenza di tende accatastate una sull’altra, baracche circondate di immondizia, bidoni, e cumuli di mattoni. Costruite alla meno peggio con qualsiasi cosa capace di coprire e proteggere dalla pioggia.
Bambini seminudi, a gruppi, intorno ai genitori, i più piccoli in braccio alle madri. Scuri, i capelli neri ruvidi ed
aspri dalla sporcizia. Tutti scalzi, alcuni in bicicletta.
Stracci stesi al sole ad asciugare intorno ad ognuna delle tende. Da questo capisci che sono abitate, che sono davvero delle “case”.Le donne vestono abiti colorati ma certamente troppo usati. Da qui si riesce a vedere perfettamente quanto siano laceri e malridotti.
Alcune sedute a riposarsi sul ciglio della strada, altre intente a trasportare materiali sulla testa, cesti pieni di chissà cosa in un equilibrio difficile da credere. Siamo al confine tra la povertà e la sufficienza, primo passo non tanto per avere la ricchezza, quanto per avere una speranza. Speranza che invece al di fuori del muro nessuno può veramente avere.

Una semplice sbarra a regolare l’accesso e il flusso tra questi due pianeti. Una sola direzione, non per tutti.

La porta del paradiso, lo Star Gate, the Gate of Eden, se vuoi.
Chiamalo come credi. Quella sbarra rossa separa il benessere dalla vera povertà, la possibilità di un futuro dalla certezza di un presente che ha gli occhi penetranti di un bambino scalzo che bussa la finestrino del tuo taxi per avere una qualche rupia. E tu abbassi lo sguardo e fai finta di niente perché hai solo banconote da 20 Euro.
Contrasti.
Eppure quello che è veramente strano è che il contrasto, la contraddizione se così la vuoi chiamare, è solo nelle cose e non negli uomini. Il contrasto è tra i palazzi oltre il muro e le baracche dall’altra parte, tra le moto giapponesi di media cilindrata e le auto parcheggiate all’interno e le biciclette che trascinano un carretto pieno di cianfrusaglie da vendere in qualche mercato.
Il contrasto è tra le cose.
Gli uomini, da ciascuna delle parti, sembrano perfettamente a proprio agio nella propria posizione e ruolo.
Sembra che nessuno trovi strana la presenza dell’altro, che nessuno sia interessato a cambiare la propria condizione o quella dell’altro. Sembra che sia sparita ogni speranza di voler cambiare, di poter cambiare, e sia invece rimasta la sola forza per sopravvivere a questa specifica e particolare condizione.
O forse quella speranza non è mai esistita, ed i ruoli sono semplicemente immutabili e come tali accettati. Quell’uomo dal volto scavato, le gambe secche e scure, il vestito sporco e stracciato, quell’uomo che porta la sua donna sulla bicicletta, non ha tempo per altro che il lavoro di ogni giorno. Ed ogni giorno è soltanto lavoro, spalmato lungo l’intero giorno, lungo l’intera settimana. Lavoro distribuito senza soluzione di continuità su tutte le 24 ore di ogni giorno, interrotto solo dal necessario riposo e dal sonno sotto una tenda di stracci.
Quella donna accovacciata sulla corsia di una strada in costruzione, quella donna che batte ripetutamente con un martello le pietre per farne ciottoli che andranno ad irrobustire la carreggiata, quella donna non ha una dimensione di vita e pensiero che le permetta di vedere altro che la necessità di sfamare se stessa e i figli. Tre, quattro, forse di più, perché questo deve essere fatto, perché questo è quello che sempre le è stato insegnato, perché da sempre è così e così sempre sarà.
Può esserci un’altra ragione all’essere donna? E quello che noi chiamiamo amore, quello che noi chiamiamo passione, sesso, romanticismo, sensualità, intrigo, come può coniugarsi qui con la brutale necessità di sfamare se stessi e i propri figli, ogni giorno, senza avere alcuna certezza per il giorno successivo?
I bambini intorno, età indefinibile, forse sette o otto anni, hanno anche loro un martello in mano e fanno quello che anche i grandi fanno: spaccare le pietre e distribuirne intorno i pezzi. Solo il modo e il ritmo li differenzia dai grandi. Mentre questi ultimi sono costanti, lenti, tenaci, i piccoli sono più incerti e imprecisi nei loro ritmi e modi.
Sono bambini, comunque.
Una famiglia quindi. Il padre poco lontano dalla madre e dai figli. Il padre. Colpi secchi e precisi sulle pietre, né troppo forti, né troppo lenti: il ritmo giusto per poter ripetere il gesto per un tempo lunghissimo senza essere bloccati all’’improvviso dalla stanchezza.
Intorno a loro altre famiglie, altri uomini e donne seduti a lato della strada, indifferenti o inerti come se nulla li potesse più toccare, altri ancora con la bicicletta a trasportare di tutto.
Una lunga strada in costruzione. Il rosso/arancio delle pietre ammucchiate a mò di piccole colline, il rosso del primo strato già posto su quella che sarà la futura carreggiata.
L’’India ha bisogno di strade per inseguire la sua crescita, il suo sviluppo.
Presenza di uomini indaffarati, madri che portano in braccio bimbi ancora piccolissimi, motociclette con tre persone, a volte quattro, autocarri che invadono la tua corsia, auto che suonano il clacson, sempre, comunque e per fortuna, una coppia di vacche sacre sul lato della strada, a tutto indifferenti e da nessuno considerate.
E ancora biciclette e motorini, scooter troppo vecchi per poter essere riconosciuti, autobus assolutamente malandati, senza portiere, corone di fiore appesi sul lato anteriore insieme a qualche statuetta di una delle tante divinità.
L’odore fortissimo che ti prende ed è un misto di profumi e scarichi industriali, si impasta al senso di afa che il clima ti regala non appena esci da un qualsiasi locale o auto con aria condizionata.

Il nostro taxi avanza lentamente scansando buche e sollevandosi per un attimo ad ognuno degli speed-breaker che interrompono la strada. L’’autista, sempre silenzioso e flemmatico, non fa altro che suonare il clacson, come fanno tutti gli altri del resto. Ed è bene che sia così.
Ci fermiamo all’ingresso.
Il finestrino si abbassa.
La guardia si china e ci osserva.
Incrocio il suo sguardo.
Occhi scuri, capelli neri, volto regolare e magro, labbra serrate, occhi penetranti ed
interrogativi.
I miei occhi fissi nei suoi.
Ci studiamo per un lunghissimo attimo.
Nessuno dice una parola.
Mi chiedo cosa stia pensando dietro quegli occhi neri.
Si chiede che cosa stia io pensando dietro i miei occhi azzurri.
Si volta verso l’autista e gli fa cenno di passare.
Lo guardo ancora mentre si allontana e torna a sedersi con i suoi colleghi.
Custode della porta del paradiso.
Poche decine di metri e ci fermiamo. “So,thanks a lot! See you tomorrow, 9 sharp at the parking, bye”. Raj si era voltato per stringerci la mano e salutarci. Cordialissimo, come sempre. Anche lui tra i fortunati. Sorrido, gli porgo la mano. “Ok Raj, tomorrow, 9 sharp, bye”. Abijeet era già sceso e lo aspettava.
Ci salutò con la mano aspettando che partissimo prima di entrare nel palazzo.

Dopo qualche minuto, e dopo essere passati davanti all’insegna di un fotografo, un piccolo negozio incastrato tra tantissimi appartamenti, ci trovammo di nuovo davanti al posto di controllo.

La sbarra si alzò lentamente ed uscimmo di nuovo nel mondo delle tende blue e della polvere.


Comments are closed.

    Author

    ​Stories and novels, stories and shades of words. Sapphire can be a voice, a whisper, a night talk.  Colours in words, words merged and melted with pictures. Words as colours, words as shapes sometimes overlapping with the visual experience.  A different way to see the world or, maybe, just the very same way using different tools and finding different paths. ​

    Archives

    August 2020
    July 2020
    December 2019
    September 2019
    May 2019
    April 2019
    March 2019
    February 2019
    January 2019
    December 2018
    November 2018
    October 2018
    September 2018
    August 2018
    July 2018
    June 2018
    March 2018
    February 2018
    December 2017
    October 2017
    September 2017
    August 2017
    July 2017
    June 2017
    April 2017
    March 2017
    February 2017
    January 2017
    December 2016
    November 2016
    October 2016
    September 2016
    August 2016
    May 2016
    April 2016
    March 2016
    January 2016
    November 2015
    October 2015
    September 2015
    August 2015
    July 2015
    June 2015
    May 2015
    March 2015
    February 2015
    January 2015
    December 2014
    November 2014
    October 2014
    September 2014
    July 2014
    April 2014
    March 2014
    February 2014
    January 2014
    December 2013
    November 2013
    October 2013
    September 2013
    August 2013
    May 2013
    March 2013
    February 2013
    January 2013
    September 2012
    August 2012
    March 2011

    Categories

    All
    Assisi
    Beauty
    Brian
    Caesure
    City Life
    Convolution
    Diaries
    Fading Out
    Fragments
    Fuji
    HumanNotHuman
    India
    Minimalia
    Pentax
    Portrait
    Shades
    Where My Country Lies
    Winter

    RSS Feed

Development area
Reserved area
Valter Scappini ©  2015 - All rights reserved  - valter.scappini@gmail.com

  • Home
  • The Blogs
    • The sapphire blog
    • The crimson blog
    • The emerald blog
    • Wordpress space
  • Stories
    • TanzanEyes
    • The Masai girl
    • Rwanda
    • 3 Years later
    • India
  • Patterns of life
    • Schwetzingen
    • Silver in the morning
    • The other city
    • HumanNotHuman
    • Fading out
    • Those foggy days
    • StreetNoise
    • As the night gently talks
    • Assisi in Black and White
    • Praising the absence
    • Caesura
    • Convolution
    • Linee e forme
    • Be like water
    • Impulses
  • People
    • Juliet
    • Street portraits
  • About